Modernità e Ambivalenza by Zygmunt Bauman

Modernità e Ambivalenza by Zygmunt Bauman

autore:Zygmunt Bauman [Bauman, Zygmunt]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggistica, Sociologia
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2014-01-31T16:00:00+00:00


Il contrattacco dell'ambivalenza

Eugène Ionesco ha dichiarato: «Sento che ogni messaggio di disperazione è la denuncia di una situazione da cui ognuno deve liberamente tentare di trovare una via d'uscita» [07]. Ci sia concessa quest'osservazione: è l'urgenza di uscire che definisce lo stato di disperazione; per articolarsi in forma di disperazione, deve essere un'urgenza senza uno sbocco ovvio, una via d'uscita segnata. Questa deve essere ancora trovata, o scavata attraverso i muri. E la ricerca della via d'uscita, o la sua costruzione, deve essere condotta «da ognuno», ossia individualmente. La comunità presumibilmente non conosce questa via d'uscita, o non lo direbbe se la conoscesse, o se lo dicesse non sarebbe d'alcun aiuto. Ecco perché la disperazione è quello che è. Punta sempre il dito lontano da sé. Qualcuno direbbe che punta il dito in avanti. Ma per noi «davanti» è la direzione del cammino che ci conduce fuori dallo stato di disperazione. Il progresso, potremmo dire, è la memoria della passata disperazione e la determinazione di fuggire da quella presente.

Il dramma dell'assimilazione produsse molta disperazione, e dunque ispirò un acuto desiderio di via d'uscita. Dal momento che quasi tutte le strade tentate si dimostrarono sbarrate o circolari o altresì ingannevoli, prese piede una costruzione massiva di nuove strade. Man mano che la ricerca di nuove strade aumentava di vigore, si dissipava sempre più la fiducia nelle vecchie. Non è che il crollo dei sogni di assimilazione abbia screditato un particolare insieme di credenze, prima abbracciate, poi rinnegate; piuttosto - prendendo in prestito la formulazione di Arnold - ripudiò l'abitudine stessa di nutrire credenze salde, incrollabili e dogmatiche. Fu come se coloro che cercavano nuove strade anticipassero il verdetto emesso in seguito da George Orwell: «Non si ottiene niente insegnando una nuova parola a un pappagallo». «Il nemico è la mente del grammofono, si sia d'accordo o meno con il disco che suona in quel momento» [08]. Profondo sospetto e paura nei confronti delle folle riunite in piazza per celebrare la loro solidarietà spensierata, delle opinioni che diedero corpo alla loro unità, del gioioso abbandono con cui si aderiva a quelle opinioni, furono i sentimenti più intensi condivisi da persone altrimenti così diverse, come Freud, Kraus, Schnitzler, Lukàcs, Adorno, Husserl, Tucholsky, Wittgenstein, Canetti o gli eleganti filosofi del Wienerkreis. Qualsiasi credenza li metteva in guardia e risvegliava le loro facoltà critiche per il semplice fatto di essere stata abbracciata dalla moltitudine intollerante.

Si disse di Freud che aveva profanato il passato, avvelenato il presente e ucciso il futuro. Fu detto, senza dubbio, dalla o per la folla. Per quella folla, il presente era pulito e ordinato solo se il passato era sacro; ed era la nitidezza del presente a far vivere il futuro (a farne cioè un perpetuo e immortale presente). Si pensava che Freud e altri come lui «avvelenassero» il presente perché non erano disposti a riporre fiducia in niente; perché non accettavano come verità le opinioni sostenute dal consenso generale; perché rifiutavano di accettare qualsiasi verità come definitiva, e di dispensare qualsiasi credo da esame critico.



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